venerdì 10 maggio 2013

Look Forward in Anger. Intervista a Michele Diomà


Un "giovane arrabbiato" del cinema italiano, ecco come definirei Michele Diomà. Un regista che ha scelto la via del cinema indipendente per realizzare la sua opera prima: L'ultimo sogno di Howard Costello. Un film assolutamente fuori dagli schemi che presto sarà possibile vedere anche in Italia, dopo l'apprezzamento ricevuto oltralpe.
Incuriosito dalla visione del trailer, e desideroso di comprendere i motivi che sono alla base di alcune scelte che hanno portato Diomà a dialogare con un cinema così lontano nel tempo - e ormai quasi del tutto estraneo al nostro orizzonte culturale/cinematografico - ho deciso di intervistarlo, discutendo con lui del suo film e dell'attuale sistema produttivo/distributivo del cinema italiano, cercando di comprendere quali possano essere gli elementi da mettere in gioco per la ricerca di nuove modalità espressive di cui il nostro cinema sembra avere un assoluto bisogno.


La prima domanda viene abbastanza spontanea: chi è Michele Diomà?

Michele Diomà è un guerrigliero ribelle del cinema italiano.

E chi è Howard Costello?

Il mio primo film è il primo atto rivoluzionario contro il cinema di regime che ci viene propinato come cinema d'autore. E Howard Costello è l'eroe di questa battaglia.

Guardando il trailer del film, viene abbastanza spontanea un'associazione con il cinema muto, come se tu cercassi di riportare in vita alcuni elementi che appartenevano alla retorica filmica di quel periodo e che sono poi andati perdendosi man mano che ci si è avvicinati all'avvento del sonoro.
Come ti sei relazionato a questo periodo della storia del cinema e, soprattutto, per quale motivo hai voluto che il tuo film instaurasse questo dialogo a distanza? Si tratta di una scelta "nostalgica" o di qualcos'altro?

Non è stata una scelta nostalgica, ma una necessità sul piano creativo. Guardando il cinema dell'epoca del muto, ho sempre pensato che richiedesse un maggior grado di attenzione da parte dello spettatore per essere seguito. E L'ultimo sogno di Howard Costello necessita di questo. E' un film che parla di reincarnazione e che può emozionare davvero soltanto se lo si legge come un libro.
C'è poi un aspetto estetico. Per me il cinema muto è il cinema. Se pensi ad Amarcord e lo osservi bene, ti rendi conto che i momenti più emozionanti sono di fatto delle brevi scene da film muto: musica e fotografia di potente bellezza.

È curioso che proprio tu, che hai scelto la via del muto proprio per reclamare - in un certo senso - la forza dell'immagine, ti sia espresso dicendo "è un film che può emozionare soltanto se lo si legge come un libro". A cosa ti riferisci esattamente nell'affermare questo?

Penso alle didascalie tra le varie scene. Con la differenza che nel libro il resto del lavoro lo fa la tua fantasia, mentre in questo film sono io a fornire le immagini.

A quale cinema di quel periodo hai guardato? Al cinema che potremmo dire più "commerciale" o a quello delle avanguardie storiche?

In realtà, io non identifico il cinema muto con un particolare periodo storico, ma piuttosto con un linguaggio che è presente anche in alcuni film sonori. Se pensi alla scena finale de I quattrocento colpi, alla corsa liberatoria, alla fuga del bambino verso il mare e all'inquadratura finale sul suo sguardo, quello per me è grande cinema muto! 
Nello specifico della tua domanda posso dirti che il film che considero un miracolo di poesia dell'epoca del muto è Luci della città di Charlie Chaplin.

Tornando al tuo film... Io ho guardato il trailer e ho notato che c'è una presenza piuttosto insistita del cielo - e soprattutto delle nuvole, del loro movimento - così come quella dei gabbiani che lo attraversano e i cui movimenti sembrano talvolta replicati dal protagonista. Che ruolo ha il cielo nel tuo film? Ti interessa principalmente come elemento figurativo e come spazio di attraversamento, o la sua funzione è importante anche sul piano della narrazione?

Considero il cielo un'opera d'arte di sconfinata meraviglia che abbiamo tutti a disposizione gratuitamente. Le nuvole, i colori, gli uccellini, i pipistrelli e la neve li trovo di una poesia potentissima. Se guardassimo il cielo più spesso, credo, saremmo tutti molto più pacifici. Per questo motivo ho voluto rubare un po' di cielo e metterlo nel mio film. Inoltre, le nuvole e i gabbiani hanno anche un preciso significato narrativo all'interno del viaggio onirico di Howard Costello.


Il tuo film è stato in competizione all'ultimo Festival del Cinema Italiano di Nizza. Puoi raccontarci qualcosa di questa esperienza?

Il Festival del Cinema Italiano di Nizza è una realtà che esiste da molti anni. Un festival al quale hanno preso parte Marcello Mastroianni, Francesco Rosi, Ermanno Olmi e, nell'ultima edizione, autori come Giorgio Diritti e Ascanio Celestini. Per me essere selezionato con il mio primo piccolo film all'interno di questa rassegna, in cui entrano soltanto otto titoli ogni anno, è stata un'enrome soddisfazione. Ma è stato anche motivo di rabbia, perché ancora una volta un gruppo di lavoro composto da soli italiani è dovuto andare all'estero per raccogliere i primi frutti della propria fatica.

Recentemente hai scelto di realizzare un videomessaggio (che ho inserito a margine di questo articolo) nel quale hai utilizzato parole molto dure nei confronti del sistema produttivo italiano. Come credi che si possa uscire da questa situazione di "chiusura" che tu denunci? E quali credi che siano le figure professionali che possono impegnarsi ai fini di un reale cambiamento?

A quel videomessaggio ha risposto un noto regista italiano, del quale non farò il nome, sostenendo che l'ABC del cinema consiste nel coinvolgere le distribuzioni ancor prima di iniziare a realizzare il film, perché è così che funziona il sistema vigente.
Vorrei dire che se questo è il sistema, deve essere demolito con urgenza! I veri responsabili di questa situazione sono proprio quei registi che hanno scelto di sottomettersi agli interessi dei distributori. Oggi gran parte dei registi sono sostanzialmente degli impiegati dei produttori che, a loro volta, per prendere i finanziamenti fanno i valletti dei politicanti. 
Chi deve provvedere alla demolizione? In primis i registi con la propria schiena dritta. Poi gli imprenditori di settore, accettando di mettersi in gioco con nuove forme di distribuzione. Infine ritengo fondamentale anche il ruolo dei critici, i quali talvolta - prima di esprimere giudizi estetici - dovrebbero dire quanto è costato un film alle casse pubbliche, chi ha accettato di finanziarlo e perché. Invece oggi questo aspetto non viene mai preso in considerazione.
Inoltre si scopre spesso che i soggetti che producono un film, quelli che lo girano e persino quelli che lo criticano vengono di fatto pagati dalla stessa fonte. E questo non va bene.

Credi che i problemi più gravi siano riscontrabili nel sistema produttivo o in quello distributivo?

È come se mi avessi chiesto: ti è più simpatica la ghigliottina o la sedia elettrica? Sicuramente la responsabilità principale di questo sfascio muove dalle produzioni che non hanno voluto fare guerra alle distribuzioni per imporsi. Ma io sono sereno. Questo sistema si è condannato all'eutanasia. Lasciamo che vadano in pace. Oggi, grazie al web, possiamo farne a meno.

A proposito, puoi dirci qualcosa sul percorso distributivo del tuo film?

Verrà proiettato anche nelle sale, oltre che in spazi alternativi come caffè letterari, gallerie d'arte, etc. Curerò direttamente io la distribuzione, accompagnando il mio film in giro per il mondo. Poi sarà possibile vederlo in più lingue in rete, ma questo in un secondo momento.

Chiuderei con una domanda alla quale, me ne rendo conto, non è semplice rispondere in maniera netta. Cos'è per te oggi l'autorialità al cinema? Attraverso quali modalità - estetiche, stilistiche - emerge oggi nel panorama italiano? E qual'è - se c'è ancora - la funzione o persino la ragion d'essere del cinema d'autore?

Il cinema d'autore non esiste. Esistono autori che fanno film liberi e autori che fanno film per accontentare i consigli d'amministrazione, le banche, i mazzettari, i mazzettati, le amanti, etc. 
Io sono un regista libero! Il cinema è la prosecuzione della mia dimensione onirica. Il cinema è per me il marchingegno attraverso cui mostrare al mondo ciò che succede nella mia anima.


GUARDA IL VIDEOMESSAGGIO DI MICHELE DIOMÀ




GUARDA IL TRAILER DEL FILM








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