giovedì 18 luglio 2013

"The Rolling Stones. Crossfire Hurricane", di Brett Morgen


Potente, pirotecnico, penetrante. Laddove chiunque avrebbe realizzato un bel ritratto, Brett Morgen sceglie di incidere uno squarcio nella tela. Laddove molti si sarebbero adagiati nel tratteggiare scolasticamente i contorni di un'immagine scolpita nel mito - consapevoli che un certosino lavoro "di maniera" sarebbe risultato sufficiente a emozionare e incantare i fan dei Rolling Stones - Morgen sceglie di rischiare, imponendo un suo stile, e non tradendo mai per l'intera durata del film la sua personale idea di "racconto". 

E se si pensa che questo ducumentario è interamente realizzato con delle immagini d'archivio - e senza l'intervento di una voce-over di commento - il tutto risulta ancor più sorprendente, e sposta il fuoco della nostra attenzione verso uno straordinario lavoro di selezione e di montaggio attraverso cui si palesa una chiara idea di regia, che si attualizza (frammentariamente) nelle singole sequenze selezionate e (organicamente) nel corpo dell'intero film.

È affascinante pensare che Crossfire Hurricane fonda il suo impianto su delle immagini mancanti. E mi riferisco, ovviamente, alle immagini dell'intervista agli Stones che Morgen ha realizzato, e per la quale - come ci viene detto all'inizio del film, in quello che è forse l'unico momento "esplicativo" rintracciabile in questo documentario - le telecamere non furono ammesse. 
Ci resta dunque soltanto l'audio. Ci restano le voci dei quattro Stones (più quella dell'ex Mick Taylor) che intervengono di tanto in tanto sulle immagini selezionate dal regista. Anche in questo caso, però, il tutto sembra realizzarsi senza alcuna pretesa didascalica. 
Ciò che Morgen estrapola da quell'intervista non sono dei "racconti" che, supportati dalle immagini, possano narrativizzare la parabola dello storico gruppo britannico. Non è questo l'intento. Le voci dei protagonisti sono - al pari delle immagini - dei frammenti di memoria da conservare ed esporre in quanto tali, senza una volontà unificante che ne alteri lo statuto trasformandoli in semplice materiale discorsivo-narrativo. Sono lame, commenti sintetici, taglienti. Delle schegge che si piantano nelle immagini e ne rivelano un ulteriore grado di profondità. 


Emerge anche il racconto, è ovvio, ma non nella forma di una struttura che pretende di organizzare e di informare l'andamento del film. Il valore testimoniale di ciascun frammento è lasciato esplodere all'interno di una struttura che non vuole canalizzarne la forza, ma - al contrario - esaltarne la capacità di legarsi potenzialmente a frammenti diversi, distanti, ma che insieme restituiscono un'atmosfera, una particolare sfumatura emotiva, o lo spirito di un tempo entro il quale i Rolling Stones sono pienamente inscritti (o che si riplasma continuamente nelle loro performance).
Ed è seguendo questa logica che anche i fatti vengono alla luce. L'abuso di droghe che ha segnato - in particolare - la vita di Keith Richards; il carcere; la morte di Brian Jones; il concerto di San Francisco terminato in tragedia. Tutto questo è presente nel film, ed è - a suo modo - raccontato. 
Come è presente, pur senza essere palesato, il passaggio dagli anni Sessanta agli anni Settanta, e poi l'approdo alle soglie degli Ottanta. L'evoluzione temporale è connaturata al procedere del film, senza che vi sia alcuna necessità di rimarcarla: cambiano le atmosfere, cambiano i contesti, si modifica l'aspetto fisico dei protagonisti, e cambiano anche - com'è ovvio che sia - le immagini stesse. Cambiano i colori, cambia la grana, e si modifica - dunque - l'intero assetto visivo del film.


Se una scansione interna al racconto è presente, questa è data solo dalla staffetta tra Brian Jones, Mick Taylor e Ronnie Wood, la quale ci consente di individuare tre capitoli all'interno del film, i quali segnano forse altrettanti "cambi d'immagine" della band.
Per il resto, la logica seguita da Morgen si mantiene coerente dall'inizio alla fine: prima ancora di voler raccontare qualcosa, prima di voler contestualizzare un evento, prima di voler narrare dei fatti, ciascun frammento vuole immergerci in un'atmosfera, puntare all’immediatezza, anche a rischio di decontestualizzare e di “de-linearizzare” la narrazione.
L'intero film sembra avere - a ben pensarci - l'andamento della musica degli Stones: sembra ereditare quello spirito trasgressivo che si palesa in una continua reinvenzione ritmica; quel "seguire la chitarra" anziché la batteria, che fa sembrare quest'ultima sempre in lieve ritardo rispetto alle aspettative, come è spiegato nel film dalla voce di Mick Jagger.

Questa tendenza verso l'infrazione della norma è assolutamente presente anche nelle scelte di Morgen, il quale preferisce alla “chiarezza espositiva” della buona immagine lo strattone emotivo del frammento sporco, e all’equilibrio compositivo della bella inquadratura l’immagine mossa, sfocata, decentrata.
Ciò che se ne trae in fase di montaggio però non è uno stato di autocompiaciuta confusione, ma piuttosto una sorta di disordine razionale che regge l'intero film, e attraverso il quale il regista non nega (allo spettatore) la possibilità della comprensione, pur negando (a se stesso) la necessità della spiegazione.



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