lunedì 7 dicembre 2015

Il cinema è l'arma più forte: "Five Broken Cameras" di Emad Burnat e Guy Davidi


Five Broken Cameras è un atto politico prima ancora che un film. E non solo perché si fa carico di riportare allo spettatore la contestazione palestinese del villaggio di Bi'lin - nei territori occupati della Cisgiordania - contro la costruzione del muro da parte degli israeliani e contro l'espropriazione delle terre per l'edificazione di insediamenti abusivi, ma soprattutto perché contribuisce a interrogare la collocazione del cinema all'interno dell'universo mediatico contemporaneo:  a definire con chiarezza il suo ruolo, a ribadirne la necessità (con buona pace di quanti continuano a celebrare da anni l'estrema unzione per la settima arte) e a ribadire la forza di un'estetica che sia anche - e soprattutto - funzionale. (Re)interroga dunque la "specificità" del cinema non più su un piano ontologico ma su un piano fenomenologico.
Five Broken Cameras è capace di interferire con pacifica violenza nella comunicazione massmediatica riguardante la realtà di quei territori. E la comunicazione è sempre - necessariamente - un atto politico.