mercoledì 9 gennaio 2013

PERSONAGGIO DEL MESE - Gennaio 2013: Roman Polanski


"Mi tagli un braccio, va bene, io dico 'me e il mio braccio'. Mi tagli anche l'altro braccio, io dico 'me e le mie braccia'. Togli il mio stomaco, i mei reni, ammesso che sia possibile, io dico 'me e il mio intestino'. Ora, se mi tagli pure la testa, che cosa direi? 'Me e la mia testa' o 'Me e il mio corpo'? 
Che diritto ha la mia testa di chiamarsi Me?"
(tratto da L'inquilino del terzo piano)

Con qualche giorno di ritardo presento il primo "Personaggio del mese" del 2013: Roman Polanski. Potrei tentare di abbozzare delle motivazioni che giustifichino questa mia scelta (prima tra tutte il fatto che Polanski compirà ad Agosto di quest'anno ottant'anni), ma il rischio sarebbe quello di incappare in inutili forzature. Il motivo è molto più semplice: rivedendo per caso in questi giorni due film come Rosemary's Baby e L'inquilino del terzo piano è riaffiorato in me tutto l'entusiasmo e l'amore che da anni nutro nei confronti di questo straordinario regista e - contemporaneamente - è emerso il desiderio di condividerlo con i lettori di questo blog.
Nel farlo non ho potuto non considerare il fatto che questa scelta possa essere considerata non proprio "politicamente corretta", dato che negli ultimi anni il nome di Roman Polanski è stato associato meno ai suoi film e più alle note vicende giudiziarie - iniziate nel 1977 e tornate alla ribalta in seguito all'arresto del regista in Svizzera nel 2010 - legate al rapporto sessuale che Polanski consumò con l'allora tredicenne Samantha Geimer. Credo, tuttavia, che si possa omaggiare senza remore il suo cinema operando al contempo una sorta di "sospensione del giudizio" sull'uomo, esimendomi dal sentenziare perché non ritengo che sia questa la sede opportuna e perché considero questa vicenda estremamente delicata, complessa e non perfettamente chiara in tutti i suoi punti.

L'omaggio è dunque rivolto a una produzione cinematografica che si distende lungo un arco temporale di oltre cinquant'anni (il lungometraggio d'esordio Il coltello nell'acqua è del 1962) e che sembra essere caratterizzata da una straordinaria continuità (stilistica e tematica) che non scade mai in una sterile e monotona reiterazione.
Quello di Polanski può davvero essere considerato un cinema antropologico, perché capace di mettere ripetutamente l'uomo sotto la lente d'ingrandimento, rivelandocelo in tutta la sua complessità e mostrandocelo talvolta immerso in una Realtà altrettanto complessa, proprio perché costantemente "contaminata" dalle proiezioni mentali che ogni soggetto riversa su di essa, fino al punto da renderla incerta, stratificata e non sempre perfettamente decifrabile. E' questo il caso dei film più celebri del regista come Repulsion (1965), i già citati Rosemary's Baby (1968) e L'inquilino del terzo piano (1976) - opere che insieme vanno a comporre la cosiddetta "Trilogia dell'appartamento" - ma anche Chinatown (1974), così come il meno riuscito La nona porta (1999) e il recente L'uomo nel'ombra (2010).


C'è poi tutta una produzione meno nota, ma non per questo meno antrolopologica, che raccoglie una serie di film nei quali il regista fa un uso magistrale degli spazi chiusi al fine di circoscrivere in essi i suoi personaggi per veder evolvere (e talvolta esplodere letteralmente sotto il peso delle contraddizioni che si generano) i rapporti di forza che tra essi si instaurano. E' questo il caso del già menzionato film d'esordio Il coltello nell'acqua, ma anche di quell'opera dalle tinte beckettiane che è Cul de sac (1966), così come di quello che è a mio parere il film più complesso di tutta la produzione polanskiana, La morte e la fanciulla (1994), nel quale il regista si dimostra capace di giocare con l'ambiguità del reale fino al punto da portare alla luce la plasticità (se non addirittura la reversibilità) del rapporto vittima-carnefice, rintracciandone le dinamiche in un ristrettissimo microcosmo (tre personaggi chiusi in un ambiente domestico) che si fa specchio - o cassa di risonanza - di un discorso notevolmente più ampio, forse addirittura universale.

Solo all'interno di questo quadro si può, infine, comprendere l'importanza di un film come Carnage (2011), vero e proprio punto di fuga di tutte le linee che attraversano l'opera del regista. Quasi un' opera-testamento, se non fosse che è già in lavorazione un nuovo film tratto dal dramma teatrale Venus in Fur di David Ives, e che sarà interpretato da Emanuelle  Seigner, attuale moglie di Roman Polanski, e Louis Garrel. 


In conclusione mi preme mettere in luce solo altri due aspetti della produzione (non solo cinematografica) di Polanski. Il primo è la bellezza dei suoi cortometraggi giovanili, opere che meritano di essere viste non solo per rintracciare (come avviene il più delle volte) le potenzialità di un discorso stilistico e tematico che sarebbe poi confluito nelle opere della maturità, ma perché sono film che rivelano l'esistenza di un universo artistico già pienamente sviluppato, che trova una possibilità d'espressione specifica proprio nella forma breve del cortometraggio (e che sarebbe stato successivamente adattato alle necessità - tempistiche e narrative - imposte dal lungometraggio).
Il secondo elemento è l'autobiografia che il regista scrisse nel 1984, intitolata semplicemente Roman. Un titolo che - se pronunciato alla francese - rivela tutta la natura romanzesca di questo scritto, sia per la piacevolezza dello stile di scrittura che per le vicende in esso raccolte, scandite dalla presenza di eventi drammatici  che - dall'infanzia trascorsa nella Polonia occupata dai nazisti, fino al brutale assassinio della moglie Sharon Tate nel 1969 - hanno irreversibilmente segnato la vita di questo cineasta. 
L'esperienza del ghetto e dei campi di sterminio, nei quali la madre e la sorella di Polanski furono uccise, troveranno poi una loro collocazione all'interno del film Il pianista, vincitore di una meritata Palma d'Oro al Festival di Cannes nel 2002.

I contributi inseriti nella rubrica audiovisiva "Personaggio del mese" - che, lo ricordo, è collocata nella colonna sinistra del blog - fanno tutti riferimento al documentario Roman Polanski. A film memoir, diretto da Laurent Bouzereau.
Oltre al trailer, troverete tre estratti del film della Bouzereau. Nel primo, estremamente toccante, Polanski racconta il suo primo incontro con la futura moglie Sharon Tate, barbaramente uccisa - come già ricordato - nel 1969 da un gruppo di adepti alla setta satanica di Charles Manson che fecero irruzione in casa sua in un momento in cui Polanski non era presente (la donna era, peraltro, all'ottavo mese di gravidanza).
Nel secondo estratto, il regista racconta i suoi esordi nel cinema, dalla partecipazione come attore nel film A Generation di Andrzej Wajda, fino all'iscrizione alla scuola di cinema di Lodz.
Nell'ultimo estratto Polanski si immerge in alcuni dolorosi ricordi risalenti al periodo in cui visse nel ghetto di Cracovia, accompagnati da alcune sequenze tratte dal film Il pianista, evidentemente plasmate sulla base di quelle stesse dolorose immagini che si sono impresse nella memoria del regista.


GUARDA IL CORTOMETRAGGIO 
DUE UOMINI E UN ARMADIO (1958)

PARTE 1

PARTE 2




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