sabato 4 maggio 2013

IN SALA - "Il cecchino", di Michele Placido



In occasione dell'uscita nelle sale italiane del film Il cecchino, diretto da Michele Placido, ripropongo la recensione scritta durante il Festival Internazionale del Film di Roma, dove l'ultima opera del regista pugliese fu presentata in anteprima fuori concorso.


Ed è così che con Le Guetteur (Il cecchino) Michele Placido si conferma regista incapace di incidere. Incapace nei suoi film di realizzare una sola sequenza che lasci traccia di sè nello spettatore, accontentandosi - tutt'al più - di confermare una innegabile abilità (non comune tra i registi di casa nostra, questo va detto) nella gestione di alcune scene d'azione impeccabili dal punto di vista del ritmo e della tensione.

Michele Placido ha affermato: "Le guetteur è il mio Romanzo criminale francese". Per sua fortuna forse si è sbagliato. Nel senso che, se un altro pregio va attribuito a questa sua ultima fatica, questo è proprio l'assenza di quella patina edulcorante che il regista aveva interposto tra il suo sguardo autoriale e le figure criminali che negli ultimi anni ha portato sullo schermo, Vallanzasca compreso. E non ne faccio una questione "etica", sia chiaro, non mi interessa. Ne faccio una questione di "efficacia narrativa". I criminali messi in scena in questo film riescono a tenere lo spettatore in uno stato di maggior spaesamento, rivelando una complessità maggiore e facendo leva su una cupezza di cui non c'era traccia nell'allegra combriccola della banda della Magliana (esagero, e ne sono consapevole, ma è solo per rendere l'idea).


Il film, ambientato a Parigi, si apre con il mancato arresto da parte del capitano Mattei (Daniele Auteil) di una famigerata banda di rapinatori di banche. Il piano architettato dall'esperto poliziotto sembra perfetto, ma proprio quando i criminali sembrano essere presi in trappola, ecco che un cecchino appostato nei pressi della banca (il capo della banda, Kaminski, interpretato da Matthieu Kassovitz) inizia a sparare sui poliziotti, favorendo così la fuga dei malviventi.
Da quel momento in poi, la serrata caccia all'uomo messa in piedi da Mattei si intreccia con una serie di violenze e omicidi tra i membri della banda che coinvolgono, oltre Kaminski, anche l'italiano Nico (Luca Argentero) e uno spietato medico, Franck, interpretato da Olivier Gourmet.


Anche ad un semplice resoconto, è evidente quanto la trama di questo film risulti avvincente. E così è, effettivamente. Placido recupera le atmosfere e gli schemi narrativi del polar (entrambe gli sceneggiatori, Cédric Melon e Denis Brusseaux sono francesi) e si avvale dell'interpretazione di un cast artistico di assoluto rispetto.
Come dire, il film non presenta dei problemi particolari, ben identificabili e, dunque, analizzabili. Il suo unico problema è quello di essere un film "oleoso", unico aggettivo che mi viene in mente per restituire l'idea di un'opera che scivola via con troppa facilità - e con troppa leggerezza - senza consentire allo spettatore di afferrarla in nessun punto.
Tale oleosità è conseguenza di una regia che sembra essere troppo concentrata sul ritmo, troppo impegnata a "far scorrere" e - proprio per questo - incapace di fissare.
Una sequenza risulta emblematica a tal proposito: verso la fine del film un altro cecchino inizia a sparare su alcune auto della polizia, provocando delle vittime. Un proiettile sfiora un bambino che si trova in strada e colpisce in pieno un poliziotto, uccidendolo. Anche in questo caso, Placido non riesce a lasciare il segno negli occhi di quel bambino; non riesce a restituire il dramma della morte che lo invade, così giovane, in quel preciso istante. Si ha la sensazione, solo per un momento, che possa finalmente verificarsi un arresto, una sospensione, ma immediatamente il regista sente la necessità di riprendere l'azione, e ricorre al cliché del poliziotto che si getta a protezione del bambino per evitare che venga colpito.

Che sia chiaro, non stiamo commentando un brutto film, ma un film semplicemente superficiale, che non sfrutta appieno le sue potenzialità e che risente, anche sul piano della narrazione, di alcune accelerazioni che restituiscono più l'impressione di una semplificazione che non quella di una buona sintesi (la fuga di Kaminski dal carcere, o la facilità con cui la ragazza ritrovata nel covo di Franck viene messa in relazione ad Anna, la moglie di Nico interpretata da Violante Placido, prima ancora che il cadavere dell'uomo venga ritrovato nel bosco, solo per fare due esempi).

Imperdonabile, invece, la forzatura evidentissima di gettare nella mischia anche l'Afghanistan, tirando in ballo dal nulla - verso la fine del film - la morte del figlio del capitano Mattei, avvenuta per mano dello stesso Kamiski durante la guerra nel paese mediorientale. Un modo improprio di legare tra di loro a doppio filo le sorti del protagonista e quelle dell'antagonista, ripescando da un passato che fino a quel momento non era stato messo in gioco. Troppo facile, troppo evidente e non sufficiente a salvare le sorti del film.

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