mercoledì 14 novembre 2012

FESTIVAL DI ROMA - "Steekspel". Il cinema partecipato secondo Paul Verhoeven



Un passo nell'ignoto. Con queste parole il regista olandese Paul Verhoeven definisce il suo "film partecipato" Steekspel (La giostra) nel documentario Paul's Experience, che di quest'opera si propone di raccontare il complesso processo produttivo. 
I due film vengono proiettati uno di seguito all'altro in quest'edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, a voler sottolineare proprio che il fascino principale di Steekspel risiede nelle innovative logiche di scrittura sapientemente orchestrate dal maestro Verhoeven.

Steekspel è infatti un film che sa cogliere l'urgenza di un presente che mette a disposizione mezzi di cui il cinema può (e deve) servirsi. 
Se proviamo a immaginare questo film come un organismo, in Verhoeven riconosciamo senz'altro il cervello.  Il sistema nervoso, tuttavia, si innerva lungo i tortuosi sentieri del web, dove migliaia di utenti hanno offerto il loro contributo creativo alla stesura della sceneggiatura.

Questo il meccanismo: lo sceneggiatore Kim van Kooten ha stilato le prime quattro pagine e mezzo dello script, delineando una situazione di partenza e otto personaggi principali (quattro uomini e quattro donne). Sulla base di questo nucleo essenziale della storia, Verhoeven ha girato e montato i primi quattro minuti del film, invitando poi gli utenti della rete a proseguire ciascuno la storia a proprio piacimento, elaborando cioè un secondo episodio sulla base del primo, poi un terzo sulla base dei primi due e cosi via, fino a raggiungere i cinquantadue minuti di durata complessiva del film.
Soltanto per il secondo episodio, il regista e il suo co-editor si sono ritrovati tra le mani ben settecento versioni della storia, oltre ad un elevato numero di video realizzati dagli utenti e caricati in rete nel tentativo di abbozzare già una prima traduzione visiva degli script, proponendo alcune soluzioni di regia e di montaggio delle quali il regista ammette di aver tenuto conto.

La difficoltà principale in questo stimolante e complicatissimo patchwork risiedeva, come racconta lo stesso regista, nel riuscire a conferire logica e continuità ad un numero così elevato di idee differenti, elaborate peraltro con intenzioni e stili tra loro diversissimi. Senza contare poi la precisione geometrica richiesta nella costruzione di un finale che riesce magistralmente a tirare le fila del discorso senza la minima sbavatura. Tutto si chiude, tutto miracolosamente funziona all'interno di questa storia di inganni, tentazioni, ricatti e colpi di scena perfettamente calibrati.

Esemplare è anche l'atteggiamento registico di Verhoeven, che oserei definire rispettoso nei confronti del progetto iniziale: il suo sguardo si assottiglia al punto da divenire quasi trasparente, lasciando così allo spettatore il solo piacere del racconto.
Con ammirabile coraggio, il regista ci pone davanti al suo modernissimo kammerspiel, che sa incantare con la semplicità che gli è propria, e che riesce a celare dietro la fluidità di un perfetto congegno narrativo tutta la complessità creativa di questo autentico user-generated film.

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