sabato 31 agosto 2013

Il senso e l'utilità di una Rivoluzione Culturale. Risposta al giornalista e scrittore Roberto Tartaglia.


Le riflessioni che seguono nascono dall'esigenza di rispondere a un post di Roberto Tartaglia, giornalista e scrittore indipendente italiano, pubblicato sul suo sito ufficiale, e intitolato "Cultura: perché c'è bisogno di una rivoluzione culturale in Italia?".


Caro Roberto Tartaglia, 
ho letto con attenzione il tuo post. Mi ci sono imbattuto questa mattina digitando "rivoluzione culturale" su Google, e se l'ho fatto è proprio perché sto iniziando a pensare che sia giunto il momento di operare in questa direzione, dando però un valore concreto a questo concetto di "Rivoluzione" (aihmè talvolta fin troppo abusato e svuotato del suo significato), per attualizzarlo nel quotidiano e renderlo familiare anche alle orecchie e agli occhi di chi non si è mai posto un simile problema. 
E nel concepire la questione in questi termini, penso immediatamente a un discorso "anti-elitario", per evitare di ricadere in errori di calcolo che sono alla radice di molte sconfitte che hanno segnato il passato del nostro Paese (e non solo).
Questa premessa mi serve semplicemente a sottolineare quanto io condivida la tua posizione nelle sue linee generali. Non ne condivido però le premesse.
Come si può pensare - oggi - che una vera "Rivoluzione Culturale" possa nascere dalla reiterazione di una contrapposizione tra il libro e i media audiovisivi (tu parli esplicitamente di cinema e televisione)? Non entro nel merito della questione in modo specifico, ma ti garantisco che il discorso sulla fruizione cinematografica e televisiva è andato molto (Molto! Molto! Molto!) avanti rispetto a come tu lo poni.
Come si può pensare di fondare il discorso sulla contrapposizione tra una "fruizione attiva" (che sarebbe prerogativa della letteratura) e una "fruizione passiva" (a cui sarebbero invece incatenati  gli spettatori cinematografici e televisivi)? La metafora del "mito della caverna platonica" continua a mietere le sue vittime.
Lascia pure che ti dica apertamente che dal tuo discorso emerge forte e chiaro il retaggio di una serie di "teorie" (o della loro versione "pop") che dovremmo avere il coraggio di lasciarci alle spalle, o quantomeno di rileggere alla luce del nuovo panorama mediatico.
La contrapposizione "alto/basso", che tu poni come una questione a priori, semplicemente non esiste. Esiste la buona letteratura e la pessima letteratura. Esiste il buon cinema e il pessimo cinema. Esiste la buona televisione e la pessima televisione. E soprattutto esiste un buon "uso"  e un pessimo "uso" di tutto questo. O, meglio, un uso consapevole e uno inconsapevole.
Ma esiste soprattutto una possibile (e sempre più auspicabile) intermedialità, che può sfumare i confini tra queste diverse forme di espressione (visive o testuali poco importa), e tra molte altre che potrebbero aggiungersi a questo troppo esiguo elenco. E soprattutto esistono oggi i mezzi per veicolare queste potenzialità intermediali. Esistono le modalità per lasciar intravedere l'importanza e la necessità di questa "Rivoluzione" (e non di quella che tu auspichi).
E dobbiamo essere noi "operatori di cultura" (definizione che riesce sempre a farmi sorridere) i primi a interrogarci sul senso di quello che facciamo. Dobbiamo chiederci quali strumenti abbiamo a disposizione, e se questi strumenti sono sufficienti, se sono davvero efficaci.
Non si vince una guerra rinchiudendosi nel proprio bunker. In questo modo si lascia solo che l'attacco del nemico arrechi il minor danno possibile a noi.
Non si vince la guerra innalzando barriere. Separando i campi. Segnando nuovi confini. Siano essi quelli dell'Accademia - che elabora progetti e riflessioni interessanti senza avere (o senza cercare con forza) i modi per veicolarle - oppure quelli dei singoli campi d'azione (Letteratura VS Cinema VS Televisione).
Una Rivoluzione è una voragine che si apre all'interno di un sistema costituito. E questa voragine si può aprire solo a partire da una convergenza di forze. Pena la morte, la morte di tutti noi. La morte del senso di quello che facciamo.

E a scriverti - sia ben chiaro - è un moribondo, che si sta chiedendo se ha la forza e la voglia di provare a combattere questa guerra.


2 commenti:

  1. Ciao Elio,
    ho letto con molto interesse la tua risposta, e ti ringrazio.
    In realtà, mi è sembrato di star dicendo la stessa cosa, noi due.

    In particolare, la tua frase: “Una Rivoluzione è una voragine che si apre all’interno di un sistema costituito” riassume appieno il pensiero che volevo esprimere con il concetto di “attivo/passio”, o “lettura/cinema”.
    Quello che volevo dire è che occorre creare una voragine, appunto, nel sistema costituito attuale, in cui si vuol portare il popolo a una denigrazione, una sottovalutazione della cultura.

    Perciò, provocatoriamente, spingo a dirigerci verso un approccio attivo alla cultura. E non uno passivo che ci porta ad adagiarci, fino a prendere per buona qualsiasi cosa.
    Non so se mi sono spiegato bene.

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  2. Non so se diciamo esattamente la stessa cosa... Non credo, o almeno non mi è parso così leggendo il tuo articolo.
    Ripeto, entrambi facciamo riferimento alla necessità di stravolgere lo stato di immobilità culturale in cui siamo precipitati, ma quel che io non condivido del tuo discorso è il suo procedere per termini oppositivi.
    Quando parli di approccio attivo cosa intendi? Perché se per te l'approccio attivo presuppone semplicemente ed esclusivamente un ritrovato interesse forte per la lettura, per l'oggetto "libro", allora siamo lontani. Se per te "YouTube" (solo per fare un esempio) rappresenta un fattore di distrazione da combattere, allora siamo distanti.
    Se per te, invece, la rivoluzione nasce da un processo "educativo" (in senso etimologico...socratico direi) ai media - al di là della loro "specificità" - allora siamo sulla stesa lunghezza d'onda.

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