martedì 15 gennaio 2013

IN SALA - "La migliore offerta", di Giuseppe Tornatore


Giuseppe Tornatore ritrae lo sguardo dagli ampi squarci della Storia per ripiegare verso una situazione più intima e raccolta. Abbandona la coralità a favore dell'individualità. Con La migliore offerta il regista siciliano si discosta da Baarìa per riavvicinarsi a La sconosciuta, dimostrando forse - se ancora ce ne fosse stato bisogno - che è proprio all'interno di questa dimensione che il suo cinema riesce a esprimersi al meglio, senza restare imbrigliato nella maglie di uno stile pomposo che - per far fronte all'enormità di un contesto narrativo fuori portata - finisce per esibire se stesso, scadendo in un immotivato e sterile autocompiacimento.
Eppure c'è qualcosa che scricchiola anche in quest'ultimo film, come se il regista promettesse nei primi venti-trenta minuti molto più di quello che riesce effettivamente a mantenere.

Proprio come l'antichissimo automa che Robert (Jim Sturgess) accetta di ricostruire a partire dai pezzi che l'anziano esperto d'arte Virgil Oldman (Geoffrey Rush) recupera nella villa dell'enigmatica signorina Claire Ibetson (Sylvia Hoeks), il film di Tornatore si presenta come un giocattolo misterioso e affascinante, composto da frammenti pregiatissimi, di assoluto valore, che si polverizzano però tra le mani del proprio costruttore al momento dell'assemblaggio, vanificando tutte le loro immense potenzialità.

Per tutta la prima parte, infatti, il film si arricchisce di spunti assolutamente interessanti, tenuti insieme dalla discrezione e l'eleganza di uno sguardo autoriale che accarezza i personaggi e gli ambienti scegliendo di non far sentire eccessivamente il proprio peso.
Emergono così i tratti che caratterizzano il protagonista del film, Mr. Oldman, un personaggio solitario, impermeabile e - potremmo aggiungere - misteriosamente anacronistico, in preda ad alcune ossessioni che si risolvono in una sorta di irrefrenabile desiderio di accumulo. Pensiamo, ad esempio, alle decine di paia di guanti ordinati su di un enorme mobile a parete e, soprattutto, alla preziosa collezione di ritratti femminili gelosamente custodita in una stanza segreta. Ritratti acquistati negli anni grazie alla collaborazione dell'amico Billy (Donald Sutherland), il quale partecipa per conto di Mr. Oldman alle aste da lui stesso battute, mescolando al fiuto per gli affari una spiccata passione per l'arte.
Il meccanismo che muove la vita del vecchio Virgil Oldman si inceppa di colpo nel momento in cui irrompe il personaggio di Claire, la giovane donna che con una serie di telefonate riesce a vincere (forse con eccessiva facilità) la sua reticenza e ad avvicinarlo a sé, richiedendo al vecchio esperto d'arte una valutazione delle sue proprietà.
Dopo una serie di appuntamenti mancati e di scuse accampate da Claire per giustificare le sue assenze, Mr. Oldman scoprirà che la donna vive rinchiusa in una stanza della sua villa, senza mai uscire in presenza di altre persone, per far fronte a una forma estrema di agorafobia che le provoca degli improvvisi e violentissimi attacchi di panico.


Il film si tiene in equilibrio fin quando Tornatore può alimentare il mistero - e accrescere il numero degli indizi - senza curarsi di tirare le fila dell'articolato discorso narrativo che sta prendendo forma. Fino al momento, dunque, in cui Claire non si rivela agli occhi di Mr. Oldman, imprimendo al film un nuovo mood.
La sapienza con cui il regista aveva giustapposto all'interno di una cornice raffinata ed elegante gli elementi di genere che risultavano funzionali alla sua storia  non trova una felice risoluzione nella seconda parte del film, che sembra improvvisamente trasformare il misterioso e affascinante giocattolo - per riprendere la nostra metafora iniziale - in qualcosa di fin troppo familiare (dall'unheimlich all'heimlich potremmo dire).

La potenza visiva di alcuni momenti che compongono la prima parte del film (pensiamo, solo per fare un esempio, alla mise en abyme del personaggio sotto il peso degli sguardi delle donne nei ritratti, idealmente reiterata - poco più tardi - nella relazione di "sguardo/impossibilità di sguardo" che lo lega a Claire fin quando la ragazza si nasconde nella sua stanza) sembra irrimediabilmente perduta nella seconda parte.
Per oltre sessanta minuti ci ritroviamo di fronte ad un film che si è irreversibilmente trasformato in una creatura moribonda, incapace di ritrovare dentro di sé la forza espressiva che l'aveva inizalmente caratterizzato. La relazione tra Claire e Mr. Oldman si appiattisce sempre di più, normalizzandosi e tentando al contempo (fastidiosamente) di mascherare la propria normalità, fin quando un colpo di scena (piazzato a venti minuti dalla fine del film) interviene a sconvolgere tutti gli equilibri.
Ma si tratta di un escamotage narrativo facile, troppo facile. Tornatore non gioca sul disvelamento, ma sulla restituzione di parti omesse, qualcosa che un narratore - avendo il coltello dalla parte del manico - può effettuare con estrema semplicità in qualunque momento. Non guardiamo il "giocattolo" con occhi nuovi, ma ci limitiamo ad aggiungere dei pezzi mancanti, che sarebbero peraltro risultati assolutamente superflui se il film avesse potuto contare su uno sviluppo più solido, senza dover obbligatoriamente ricorrere a un "trucchetto" finale che appare più che altro come un disperato massaggio cardiaco.

Ed è così che La Migliore offerta lascia l'amaro in bocca tipico delle grandi occasioni mancate, come una meravigliosa barca arenata che per compiere il proprio viaggio avrebbe necessitato di ben altro timoniere.

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