lunedì 17 dicembre 2012

IN SALA - "Il sospetto", di Thomas Vinterberg



Moltissimo cinema contemporaneo ci ha abituato a rinunciare all'idea di una posizione unica e rigida nei confronti della storia che un film ci racconta o, detto in altri termini, ci ha ripetutamente posto di fronte a forme di narrazione complessa che rendono necessaria da parte nostra una continua reinterrogazione delle singole situazioni, per giungere a delle forme di verità sempre parziali e quasi mai definitive. Il punto di vista dello spettatore contemporaneo è qualcosa di fluido, continuamente riconfigurato nel corso della visione di un film.
Con Il sospetto, film presentato in concorso all'ultimo Festival di Cannes,  Thomas Vinterberg sembra andare programmaticamente controcorrente, mettendo lo spettatore nella condizione di conoscere fin da subito la verità - l'unica verità esistente - ma costringendolo, nonostante ciò, a fare i conti con delle forme altalenanti di partecipazione emotiva che lo portano a comprendere anche le ragioni di chi è (a sua insaputa) dalla parte del torto.

Esiste una verità: Lucas (Mads Mickelsen) è innocente. Esiste una menzogna: Lucas è un pedofilo. 
La menzogna nasce da alcune dichiarazioni di Klara (Annita Werderkopp), la figlia del migliore amico di Lucas che frequenta l'asilo in cui l'uomo lavora. Dichiarazioni che sono frutto di una banale forma di rancore infantile che, proprio in quanto tale, si rivela tanto puro quanto pericoloso.
Esiste anche un colpevole in questo film: è Sigmund Freud. 
Si tratta ovviamente di un'affermazione provocatoria, che non è però del tutto infondata, dato che il regista sembra avanzare una critica velata, ma non per questo poco incisiva e netta, nei confronti di quella che potremmo definire la "vulgata freudiana", mettendo in luce i pericoli che possono derivare da un utilizzo profano e superficiale della psicoanalisi, soprattutto se indirizzato nei confronti di una bambina.
A gonfiare la menzogna e a trasformarla in una verità condivisa da un'intera comunità è infatti l'atteggiamento pop-psicanalitico di chi come Grethe (Susse Wold), la direttrice dell'asilo, e in parte anche Agnes (Anne Louise Hassing), la madre di Klara, ricorre senza la giusta consapevolezza a concetti complessi come quello di "rimozione" per giustificare la repentina ritrattazione delle accuse da parte della bambina. Un atteggiamento che giunge a insinuare nella stessa Klara il dubbio sulla veridicità delle sue affermazioni, generando in lei una confusione che non le consente di capire se quel che ha raccontato non è mai accaduto davvero o se invece lo ha dimenticato... lo ha "rimosso".

Tornando alla struttura narrativa, si può dunque dire che il sapere dello spettatore è allineato per tutto il film al sapere di Lucas, che è l'unico personaggio assolutamente certo della propria innocenza.
Esistono però dei punti di vista differenti: quello dell'intera comunità, per esempio, che si convince della colpevolezza di Lucas e finisce per emarginarlo. In questo gruppo rientrano i colleghi di Lucas, i genitori di Klara e, in parte, anche Nadja, la donna con cui Lucas ha una relazione. I loro atteggiamenti giungono ad essere deprecabili e a tingersi di violenza, ma si tratta di una violenza cieca di chi, a fronte delle ragioni addotte da un uomo da sempre stimato e rispettato, non riesce a vedere altro che l'oscena verità che una bambina così piccola e innocente non può aver inventato (per inciso: le immagini che alimentano l'immaginazione di Klara provengono dal materiale pornografico visionato sul tablet del fratello maggiore). La loro posizione è oggettivamente sbagliata, eppure si riesce a comprendere la loro rabbia - in particolare per quel che concerne i genitori della bambina - pur se non si giunge a  condividerne gli esiti più violenti. 
C'è poi la posizione di Theo, un amico di Lucas, e quella di Marcus, suo figlio, i quali sono convinti dell'innocenza dell'uomo. 
C'è infine il punto di vista di Klara che, come detto, è molto sfumato perché costantemente in bilico tra  la realtà (dei fatti) e l'immaginazione (fondata, comunque, sulla "concretezza" delle immagini pornografiche viste, e alimentata peraltro dalle marmoree certezze delle persone che la circondano).

Per chi ricorda Festen, film diretto da Vinterberg nel 1998 (e passato alla storia come la prima opera realizzata secondo i dettami del manifesto Dogma 95, di cui il regista fu ideatore insieme a Lars Von Trier), non risulterà difficile individuare un'evidente ricorrenza: l'accusa di atti di pedofilia che interviene a sconvolgere gli equilibri (in quel caso fragili già in partenza) all'interno di un gruppo di individui. Ma mentre in Festen il fuoco era posto sul riemergere di un dramma familiare legato a degli abusi sessuali, nel caso de Il sospetto lo spettatore è trascinato nel vortice d'isolamento di cui resta vittima quello che per tutti è il solo carnefice. 
Il dramma reale del film è quello di un uomo che non riesce a dimostrare la propria innocenza e che resta vittima non di un complotto ordito nei suoi confronti (come avviene, solo per fare un esempio, ne L'angolo rosso di Jon Avnet), ma dell'assoluta "umanità" dei suoi accusatori, il che rende - come già detto - notevolmente complessa la posizione dello spettatore pur nell'assoluta trasparenza e linearità della trama. 

Conosciamo la verità, sappiamo dov'è la ragione, eppure non riusciamo a stare costantemente da una sola parte. E quando i titoli di coda iniziano a scorrere, percepiamo di essere stati messi a dura prova.


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2 commenti:

  1. Salve,
    augurandoti un buon Natale e un felice anno nuovo, ti invito a votare migliori film del 2012 sul mio blog. Nella pagina trovi anche il link per votare come "blogger cinematografico".

    Ovviamente, l'invito è esteso a tutti i blogger di cinema qui di passaggio che non sono ancora riuscito a contattare e a tutti i visitatori amanti del cinema!

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  2. Ti ringrazio, provvederò immediatamente. Ricambio gli auguri di buon Natale e buon anno.

    Elio

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